Qualche giorno fa minima & moralia pubblicava un'anteprima, uscita su Repubblica, del libro intervista di David Lipsky a David Foster Wallace, ne riporto uno stralcio che, per quanto nei commenti se ne critichi la banalità, oltre alla presunta opera di sciacallaggio della casa editrice, a me è sembrato illuminante riguardo al perverso atteggiamento di coloro che si ritengono parte di un'elite culturale.
Ti chiedi mai se i libri sono fuori moda? Te ne preoccupi mai? Come dicevamo ieri, erano dieci anni che Rolling Stone non faceva un pezzo su uno scrittore della tua età.
Penso che un tempo i libri fossero una componente importante del
dibattito culturale, in una maniera in cui oggi non lo sono più. E il
fatto che Rolling Stone, una rivista mainstream piuttosto importante, non ne parli più come una volta dice molto. Non tanto su Rolling Stone. Quanto sull’interesse che la nostra cultura nutre verso i libri.
Per me… lo sai anche tu, quando ci vediamo con altri scrittori questo
diventa un grande argomento di conversazione, perché ci mettiamo tutti a
lagnarci e a piagnucolare. Parliamo del declino dell’istruzione e del
calo della soglia di attenzione della gente, e della responsabilità
della tv in tutto questo. Ma per me la domanda interessante è: cos’è che
ha fatto sì che i libri diventassero una parte meno importante del
dibattito culturale? [...] Ecco, secondo me molti di noi si dimenticano
che in parte la colpa è dei libri stessi. È che probabilmente, sai… si
crea una sorta di circolo vizioso per cui, man mano che gli scrittori
perdono importanza a livello commerciale e rispetto alla cultura di
massa, cominciano a difendere il proprio ego parlando sempre di più fra
loro. E ponendosi come una sorta di conventicola chiusa in se stessa che
non ha niente a che fare con i reali, normali lettori.
Il tono dei commenti non è stato dissimile da quello della maggior parte dei pollai che si possono trovare in rete, in questo caso però il tutto, insinuazioni comprese su disonestà intellettuale dell'editore, sono in bella calligrafia e condite con qualche riferimento colto alle turpi abitudini che hanno costretto, chi non lo sa, Dostoevskij a scrivere "Il giocatore" in meno di un mese.
L'impressione che ho avuto io, lettore e illetterato, è che nella loro banalità i concetti espressi da DFW abbiano colpito nel segno e messo a nudo la responsabilità, non completa naturalmente, del mondo della cultura (per usare un'espressione neutra) nell'allontanamento delle masse dalla parola scritta che non sia il quotidiano sportivo.
La ciliegina sulla torta è stato l'intervento del padrone di casa, Marco Cassini, che ha fatto mutare i termini della discussione e a me è sembrato, con le dovute differenze, di assistere all'irruzione di Ulisse a corte con i Proci che si affrettavano a nascondere le briciole della loro mancanza di educazione.