29/01/12

chiamate le cose con il loro nome

   Non amo essere sul pezzo ed unirmi al coro degli opinionisti, né a quello dell'indignazione sul web e per questo raramente mi interessa commentare fatti di cronaca. 

   Del resto sono troppo avanti, caso mai non l'aveste notato ho scritto un pezzo sulla memoria con quattro giorni d'anticipo e potrei ora impegnarmi nella stesura di un post sulle ricorrenze salienti del due Febbraio, ma a chi vuoi possa interessare di un'ambasciata britannica distrutta a Dublino o dell'elezione al soglio pontificio di un Callisto II o un Gregorio XVI, già più interessante potrebbe essere ricordare il terremoto a L'Aquila del 1703 (X grado Mercalli e seimillanta morti) viste le recenti scosse in Italia, sarebbe addirittura un tema d'attualità. 

   Invece siccome mi avete sfrantegat' o cazz' (direbbero gli Squallor) per settimane con una nave che ha tentato di tagliare in due l'Isola del Giglio e ancora la cosa non tende a raffreddarsi mi permetto di unirmi al coro degli opinionisti non richiesti.
Il punto è che riguardo all'evento c'è veramente poco da dire: 
1- Il comandante di una nave compie una manovra azzardata, fa una cazzata, rischia di affondare il Giglio.
2- Il comandante Schettino è un codardo e compie un'azione di Sabauda memoria, non tentare di affondare l'isola ma abbandonare la nave che affonda, interessante sarebbe sapere se anche lui è scappato con la cassaforte sotto braccio come Vittorio Emanuele III.

   La cosa interessante, no, non interessante, la cosa che mi fa girare vorticosamente le palle è la reazione della cosiddetta opinione pubblica, e su questo mi piace dire la mia. Da una parte chi ha fatto del capitano De Falco un eroe per aver svolto i suoi compiti e perché aveva, come era logico che fosse, quel tono autoritario che bisogna aver l'onestà di ammettere seduce gran parte di questo popolo pecorone sempre in cerca di padroni e madonne che lacrimano sangue.

   Dall'altra gli avvocati del diavolo, gli apologeti della mediocrità, i seguaci della dietrologia del "perché non si è intervenuti prima", e via: la gara a guardare il dito invece che la luna, ed ognuno a proporre il suo scatto, la sua inquadratura di questo merdoso dito che è l'illazione gratuita, la manifesta malafede di chi ha paura di assumersi le proprie responsabilità, sempre, e accorre con "l'umana pietà" in soccorso del negligente, del mediocre, dell'universitario a trentasei anni con tre esami, quelli del "è facile da dietro una scrivania, vorrei vedere lui in una situazione di pericolo".

   E no! Col cazzo che mi interessa sapere di De Falco, dimmi di te, abbi le palle di dire che fuggiresti alle tue responsabilità, qualora ne avessi, abbandonando in mare il tuo equipaggio, i tuoi passeggeri, abbi il coraggio non di giustificare chi si gira dall'altra parte quando molestano una donna nel metrò, ma di ammettere che tu ti gireresti, abbi il coraggio di dire chiaramente che se dovessi averne bisogno non potrò contare su di te e che hanno ragione quei crucchi di merda di Der Spiegel quando scrivono che Schettino è il campione rappresentativo dell'italiano medio.
   
   Sono settimane di chiacchiere inutili sul significato del "ci sono ancora donne e bambini a bordo"  del capitano De Falco, con qualcuno che ipotizza che venga chiesto per "ormai obsolete consuetudini marinare" (non merita il link), obsolete consuetudini il "prima le donne e i bambini"? Ma che cazzo di paese è questo? Meschinità e autoindulgenza oltre ogni limite. Un codardo è un codardo, non merita linciaggi mediatici ma nemmeno giustificazioni di alcun tipo.

   Per concludere la perla è il videomessaggio o videoarticolo o come lo si vuol chiamare di Francesco Merlo che è una summa delle stronzate che circolano, video in cui si arriva a contestare il tono e le parole che vengono usate dal capitano De Falco all'indirizzo del comandante Schettino. "Un comandante che deve recuperarne un altro forse dovrebbe ..." ma vaffanculo! Ma di che cazzo parli? In una struttura gerarchica, e guarda caso i militari una struttura di questo tipo hanno, si danno degli ordini, piaccia o meno, altrimenti non sarebbe un esercito ma una riunione condominiale. E se dare ordini, se farlo in maniera decisa è da gerarca forse di gerarchi ha bisogno questo paese. 

   Non mi riesce proprio di immaginarmi in una situazione di pericolo con i soccorritori che esprimendosi con pacatezza ed educazione mettono ai voti le misure da prendere perché ho come il sospetto che le uniche misure da prendere, in quel caso, sarebbero quelle della cassa.
   
   Ben venga chi, anche all'interno di un paese democratico, sappia assumersi l'onere del comando.

23/01/12

Gabriele

Oggi pomeriggio ero di "rappresentanza"; è morto un nostro cliente e insieme ad un collega sono stato al funerale. In realtà mi ha fatto piacere andarci perché , per quel poco che l'ho conosciuto, era una persona per bene. Gabriele era ebreo, la quasi totalità dei nostri clienti lo sono. Io non ero mai stato ad un funerale che non fosse cristiano e forse ancora è così visto che non sono entrato in Sinagoga (e non sono nemmeno certo che si possa chiamare Sinagoga quell'edificio al cimitero) perché non sapevo se la cosa potesse essere a tutti gradita e poi non mi ero procurato nulla per coprirmi il capo. Ho sbirciato da fuori e sono morto di curiosità. A me piacciono i funerali, insomma mi piace la ritualità, la messa in scena del dolore non il fatto che qualcuno sia morto e che ci sia chi lo piange, non sono cosi perverso. Penso che gli uomini abbiano trovato un sistema eccellente per metabolizzare la scomparsa di un caro. Il funerale, ripeto, come messa in scena del dolore, vero e proprio spettacolo con scenografia e coreografia scritta da secoli, millenni, immutabile nella forma, diversa per ogni confessione e diverso ogni volta il protagonista, i protagonisti. Sono talmente convinto della bontà del metodo che penso sia preesistente alle religioni anche se spesso il ritrovamento di tombe negli scavi archeologici viene interpretato come prova di una già sviluppata sensibilità religiosa, quasi che non possa esserci spiritualità al di fuori della gabbia di una religione. Pensavo poi a quale potente strumento di coesione siano le tradizioni e tutta la ritualità ad esse collegata, e quale importanza possano aver avuto per un popolo condannato a millenni di diaspora, popolo che attraverso l'osservanza è riuscito a conservare lingua e abitudini pur essendo integrato in ogni realtà. Durante la cerimonia usano la loro lingua, non so se ci siano speciose polemiche come da noi per la messa in latino. Mi piacerebbe la ritualità senza l'obbligo alla religiosità, credo ci sia un caso di appropriazione indebita da parte del clero. Pensavo poi a quel sottile (enorme) senso di colpa che provo per quello che il mio popolo è stato capace di fare loro nel tempo e fino ad un tempo non così remoto, sono spesso a disagio per questo. Forse per un mio difetto di personalità sono scarsamente individualista. Penso spesso a quello che avrei fatto io come cristiano italiano durante il ventennio fascista, mi piace naturalmente immaginarmi nei panni di un giusto, ma il senso di colpa rimane, lì, anche ora.

19/01/12

  Spesso, non me ne vogliate, trovo più stimolanti i commenti che i post che leggo, solo più stimolanti, nel bene o nel male non meglio del post. Così provo a scrivere qualcosa, la mia risposta, che quasi puntualmente non pubblico perché mi fa più schifo delle cose che solitamente scrivo o semplicemente l'impulso del momento si traduce durante la lenta, lentissima scrittura a due dita in un: " vabbe' ma 'sti cazzi". Poi questa roba rimane lì in magazzino fino al momento in cui la elimino.

    Questo è uno stralcio de "Questa è l'acqua" di David Foster Wallace che avevo copiato in seguito alla lettura di qualcosa riguardo alla religione che ora non ricordo. Visto che Dio, la religione e il rapporto tra atei e credenti è molto frequente sui blog, almeno in quelli che leggo io, mi si è presentata l'occasione che rende attuale il mio sforzo di copiatura passato.

    Nel suo blog Luca Massaro pubblica la trascrizione di una telefonata in cui leggo proprio quello che DFW voleva rimarcare, in realtà è nel commento di Alex. Preciso che non ho nessun intento polemico, essendomi trovato in una situazione simile ho risposto a chi mi annunciava la fine del mondo e l'avvento del regno dei cieli, mentre verniciavo il cancello: " Eccheccazzo potevi passa' prima che me risparmiavo 'sta sudata!" pensando che fosse un povero scemo, la cosa che trovo interessante, ora, è che probabilmente è stato il suo stesso pensiero.

                Da qui comincia DFW, caso mai non notaste il cambio stilistico.

     
    Ci sono due tizi seduti a un bar nel cuore selvaggio dell'Alaska. Uno è credente, l'altro è ateo, e stanno discutendo l'esistenza di Dio con quella foga tutta speciale che viene fuori dopo la quarta birra. L'ateo dice: - Guarda che ho le mie buone ragioni per non credere in Dio. Ne so qualcosa anch'io di Dio e della preghiera. Appena un mese fa mi sono lasciato sorprendere da quella spaventosa tormenta di neve lontano dall'accampamento, non vedevo niente, non sapevo più dov'ero, c'erano quarantacinque gradi sotto zero e così ho fatto un tentativo: mi sono inginocchiato nella neve e ho urlato: " Dio, sempre ammesso che tu esista, mi sono perso nella tormenta e morirò se non mi aiuti ! " - A quel punto il credente guarda l'ateo confuso: - Allora non hai più scuse per non credere, - dice. - Sei qui vivo e vegeto-. L'ateo sbuffa come se il credente fosse uno scemo integrale: - Non è successo un bel niente niente, a parte il fatto che due eschimesi mi hanno indicato la strada per l'accampamento. È facile analizzare questa storiella secondo i criteri classici delle scienze umanistiche: la stessa identica esperienza può significare due cose completamente diverse per due persone diverse che abbiano due impostazioni ideologiche e due diversi modi di attribuire un significato all'esperienza...

    C'è poi la questione dell'arroganza. Il non credente liquida con estrema petulanza e sicumera l'eventualità che gli eschimesi avessero qualcosa a che fare con la sua preghiera di aiuto. D'altro canto i credenti che mostrano un'arrogante sicurezza nelle loro interpretazioni non si contano nemmeno. E forse sono anche peggio degli atei, almeno per la maggior parte di noi qui riuniti, ma il fatto è che il problema dei dogmatici religiosi è identico a quello dell'ateo della storiella: arroganza, convinzione cieca, una ristrettezza di idee che si traduce in una prigionia completa al punto che il prigioniero non sa nemmeno di essere sotto chiave.