23/01/12

Gabriele

Oggi pomeriggio ero di "rappresentanza"; è morto un nostro cliente e insieme ad un collega sono stato al funerale. In realtà mi ha fatto piacere andarci perché , per quel poco che l'ho conosciuto, era una persona per bene. Gabriele era ebreo, la quasi totalità dei nostri clienti lo sono. Io non ero mai stato ad un funerale che non fosse cristiano e forse ancora è così visto che non sono entrato in Sinagoga (e non sono nemmeno certo che si possa chiamare Sinagoga quell'edificio al cimitero) perché non sapevo se la cosa potesse essere a tutti gradita e poi non mi ero procurato nulla per coprirmi il capo. Ho sbirciato da fuori e sono morto di curiosità. A me piacciono i funerali, insomma mi piace la ritualità, la messa in scena del dolore non il fatto che qualcuno sia morto e che ci sia chi lo piange, non sono cosi perverso. Penso che gli uomini abbiano trovato un sistema eccellente per metabolizzare la scomparsa di un caro. Il funerale, ripeto, come messa in scena del dolore, vero e proprio spettacolo con scenografia e coreografia scritta da secoli, millenni, immutabile nella forma, diversa per ogni confessione e diverso ogni volta il protagonista, i protagonisti. Sono talmente convinto della bontà del metodo che penso sia preesistente alle religioni anche se spesso il ritrovamento di tombe negli scavi archeologici viene interpretato come prova di una già sviluppata sensibilità religiosa, quasi che non possa esserci spiritualità al di fuori della gabbia di una religione. Pensavo poi a quale potente strumento di coesione siano le tradizioni e tutta la ritualità ad esse collegata, e quale importanza possano aver avuto per un popolo condannato a millenni di diaspora, popolo che attraverso l'osservanza è riuscito a conservare lingua e abitudini pur essendo integrato in ogni realtà. Durante la cerimonia usano la loro lingua, non so se ci siano speciose polemiche come da noi per la messa in latino. Mi piacerebbe la ritualità senza l'obbligo alla religiosità, credo ci sia un caso di appropriazione indebita da parte del clero. Pensavo poi a quel sottile (enorme) senso di colpa che provo per quello che il mio popolo è stato capace di fare loro nel tempo e fino ad un tempo non così remoto, sono spesso a disagio per questo. Forse per un mio difetto di personalità sono scarsamente individualista. Penso spesso a quello che avrei fatto io come cristiano italiano durante il ventennio fascista, mi piace naturalmente immaginarmi nei panni di un giusto, ma il senso di colpa rimane, lì, anche ora.