19/01/12

  Spesso, non me ne vogliate, trovo più stimolanti i commenti che i post che leggo, solo più stimolanti, nel bene o nel male non meglio del post. Così provo a scrivere qualcosa, la mia risposta, che quasi puntualmente non pubblico perché mi fa più schifo delle cose che solitamente scrivo o semplicemente l'impulso del momento si traduce durante la lenta, lentissima scrittura a due dita in un: " vabbe' ma 'sti cazzi". Poi questa roba rimane lì in magazzino fino al momento in cui la elimino.

    Questo è uno stralcio de "Questa è l'acqua" di David Foster Wallace che avevo copiato in seguito alla lettura di qualcosa riguardo alla religione che ora non ricordo. Visto che Dio, la religione e il rapporto tra atei e credenti è molto frequente sui blog, almeno in quelli che leggo io, mi si è presentata l'occasione che rende attuale il mio sforzo di copiatura passato.

    Nel suo blog Luca Massaro pubblica la trascrizione di una telefonata in cui leggo proprio quello che DFW voleva rimarcare, in realtà è nel commento di Alex. Preciso che non ho nessun intento polemico, essendomi trovato in una situazione simile ho risposto a chi mi annunciava la fine del mondo e l'avvento del regno dei cieli, mentre verniciavo il cancello: " Eccheccazzo potevi passa' prima che me risparmiavo 'sta sudata!" pensando che fosse un povero scemo, la cosa che trovo interessante, ora, è che probabilmente è stato il suo stesso pensiero.

                Da qui comincia DFW, caso mai non notaste il cambio stilistico.

     
    Ci sono due tizi seduti a un bar nel cuore selvaggio dell'Alaska. Uno è credente, l'altro è ateo, e stanno discutendo l'esistenza di Dio con quella foga tutta speciale che viene fuori dopo la quarta birra. L'ateo dice: - Guarda che ho le mie buone ragioni per non credere in Dio. Ne so qualcosa anch'io di Dio e della preghiera. Appena un mese fa mi sono lasciato sorprendere da quella spaventosa tormenta di neve lontano dall'accampamento, non vedevo niente, non sapevo più dov'ero, c'erano quarantacinque gradi sotto zero e così ho fatto un tentativo: mi sono inginocchiato nella neve e ho urlato: " Dio, sempre ammesso che tu esista, mi sono perso nella tormenta e morirò se non mi aiuti ! " - A quel punto il credente guarda l'ateo confuso: - Allora non hai più scuse per non credere, - dice. - Sei qui vivo e vegeto-. L'ateo sbuffa come se il credente fosse uno scemo integrale: - Non è successo un bel niente niente, a parte il fatto che due eschimesi mi hanno indicato la strada per l'accampamento. È facile analizzare questa storiella secondo i criteri classici delle scienze umanistiche: la stessa identica esperienza può significare due cose completamente diverse per due persone diverse che abbiano due impostazioni ideologiche e due diversi modi di attribuire un significato all'esperienza...

    C'è poi la questione dell'arroganza. Il non credente liquida con estrema petulanza e sicumera l'eventualità che gli eschimesi avessero qualcosa a che fare con la sua preghiera di aiuto. D'altro canto i credenti che mostrano un'arrogante sicurezza nelle loro interpretazioni non si contano nemmeno. E forse sono anche peggio degli atei, almeno per la maggior parte di noi qui riuniti, ma il fatto è che il problema dei dogmatici religiosi è identico a quello dell'ateo della storiella: arroganza, convinzione cieca, una ristrettezza di idee che si traduce in una prigionia completa al punto che il prigioniero non sa nemmeno di essere sotto chiave.